Epatite C e Over 50: come far emergere il sommerso?

Intervista al prof. Marcello Persico

Una recente ricerca stima che in Italia la prevalenza di epatite C nella popolazione generale sia attorno allo 0,68%. Un dato che includerebbe anche le persone non ancora diagnosticate, che sarebbero tra le 250 e le 300 mila1,2. Marcello Persico, Ordinario di Medicina Interna all’Università di Salerno e Primario dell’Unità Operativa di Clinica Medica ed Epatologia presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria San Giovanni di Dio Ruggi d’Aragona, spiega l’importanza dello screening per far emergere il sommerso. A cominciare dalle fasce più a rischio: gli over 50.

“Essendo clinicamente silente, l’epatite C non si manifesta e si scopre per caso. In passato si scopriva dai donatori o in caso di transaminasi alte, quando un medico accorto richiedeva il test, per questo bisogna farla conoscere perché un paziente positivo ha il 30% di rischio di sviluppare una cirrosi e di questo 30%, un 3% rischia di sviluppare un tumore del fegato.

Scoprendo la malattia, oggi si può guarire. Con le terapie del passato, a causa degli importanti effetti collaterali, non era semplice e sempre possibile trattare le persone con epatite C. Grazie alle nuove terapie, in poche settimane il virus viene eliminato. Questo dovrebbe rappresentare un incentivo per spingere le persone con più di cinquant’anni, e non solo, a sottoporsi al test”.

Come è distribuita l’epatite C nelle varie fasce d’età della popolazione? Chi sono le persone più a rischio e perché?

“Si sa da tempo che i casi di epatite C, che si trasmette per via ematica, si riscontrano in misura maggiore nella fascia di popolazione d’età superiore ai 50 anni: vi rientrano non solo i “grandi vecchi”, cioè le persone con più di 80 anni che potrebbero aver fatto uso di strumenti chirurgici non monouso come le siringhe di vetro, ma anche quella generazione che, soprattutto tra gli anni ‘60 e ’80, ha attraversato fenomeni socio-culturali caratterizzati dall’uso di sostanze stupefacenti e da una maggiore libertà sessuale, o che si è sottoposta a tatuaggi in condizioni non sicure. Tutti fattori questi che espongono di rischio per un virus, HCV, che si trasmette per via ematica”.

Ci sono situazioni che pongono dei rischi di contagio e che possono essere sottovalutate dalle persone?

“Le vie di trasmissione sono diverse e alcune di queste meno note.

In passato come esperti abbiamo fatto grandi campagne per cercare di sensibilizzare la popolazione nei confronti dell’importanza della sterilità degli strumenti per la cura della persona, come quelli utilizzati ad esempio dagli estetisti, dai parrucchieri e barbieri.

Una situazione molto spesso sottovalutata, però, è anche quella in cui in famiglia c’è una persona HCV positiva: può verificarsi un fenomeno di trasmissione orizzontale tra conviventi, che per questo dovrebbero essere sottoposti a screening”.

Cosa dovrebbe fare una persona che ha il dubbio di essere stata esposta a rischio di contagio da HCV?

“Deve rivolgersi al proprio medico di medicina generale per essere indirizzata a un centro di riferimento sul territorio (che sono numerosi e distribuiti in tutte le regioni) per effettuare un test di screening. Per esperienza, tuttavia, sappiamo che è raro che le persone richiedano spontaneamente di essere sottoposti allo screening per l’HCV. Per questo dobbiamo cercare di raggiungere le persone più a rischio, ad esempio proponendo il servizio di screening nei Sert e nelle carceri.

Se invece una persona scopre di essere affetta da epatite C, e diventa quindi un paziente, deve sapere che esistono associazioni di pazienti molto importanti in Italia, che sono in grado di fornire un supporto importante sia dal punto di vista informativo che pratico. Soprattutto deve sapere che oggi dall’epatite C si può guarire.

“La storia dell’epatite C non ha eguali in medicina. In trent’anni, cioè dalla scoperta del virus nel 1989 a oggi, la malattia è stata sconfitta. Le odierne terapie sono molto efficaci e portano all’eliminazione del virus in poche settimane nella quasi totalità dei casi, con effetti collaterali modesti. Anche per questo l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha posto come obiettivo per il 2030 l’azzeramento dell’infezione da HCV, riducendo dell’80% il tasso di infezione da epatite C e del 65% quello della mortalità ad essa correlata”.

Perché è importante far emergere il sommerso a livello sociale, sanitario e politico?

“Individuare le persone affette da epatite C e inconsapevoli ha un impatto considerevole a livello socio-sanitario. Quando si scopre la malattia e il paziente viene curato, il virus viene eliminato dal suo organismo: in questo modo si neutralizza la possibilità di trasmetterlo ad altre persone. Ma soprattutto la persona affetta da epatite C guarisce nella maggior parte dei casi, evitando in questo modo il rischio di degenerazione in cirrosi epatica e di sviluppo di cancro al fegato, due condizioni che aggravano il quadro e la gestione clinica del paziente. Anche quando l’epatite C è in stadio avanzato, l’eliminazione del virus consente di arrestarne l’evoluzione.

L’emersione del sommerso, inoltre, rappresenterebbe un importante successo da un punto di vista di gestione sanitaria del Paese; per questo motivo in Italia, con il Decreto Mille Proroghe, sono stati stanziati oltre 70 milioni di euro di fondi dedicati alla campagna di screening e all’impiego dei farmaci di nuova generazione”.

Come si fa a far emergere il sommerso?

“Esistono centri prescrittori e terziari che lavorano in maniera solerte su tutto il territorio nazionale per far emergere il sommerso, ma nonostante questo vi sono ancora dei serbatoi di epatite C nella popolazione.

Quello che andrebbe fatto oggi per raggiungere gli obiettivi stabiliti dall’OMS è uno screening di massa, come quello previsto dal decreto attuativo di recente approvazione e che dovrebbe entrare in vigore prossimamente, rivolto ai nati tra il 1969 e il 1989, concentrandosi però anche sulla fascia di età tra i 50 e gli 80 anni, che è stata maggiormente esposta ai fattori di rischio sopra indicati.

Bisognerebbe inoltre puntare l’attenzione sulle zone rurali del nostro paese e nelle periferie dei grandi centri urbani, coinvolgendo i medici di medicina generale”.

A livello locale in Campania avete previsto o già svolto progetti di eliminazione dell’HCV?

“Il mio gruppo si è occupato di attivare un servizio di screening nei SerD in provincia di Salerno, avvalendosi di test rapidi come quello salivare o tramite goccia di sangue. Le persone che afferiscono a questi centri, però, raramente superano i 50 anni di età.

Abbiamo operato anche progetti di screening nelle carceri, dove l’età media è più alta.

Per contribuire all’eliminazione dell’HCV è però opportuno fare uno screening capillare sul territorio. A questo proposito, in Campania stiamo attuando un servizio di screening sponsorizzato con test rapidi per gli anticorpi anti-HCV, approfittando delle vaccinazioni anti-Covid: alle persone che vengono a vaccinarsi viene chiesto se vogliono aderire anche allo screening e viene fatto loro firmare il consenso informato. Finora abbiamo raccolto 600 campioni da persone con età media sui 50 anni e abbiamo individuato 2 persone positive.

Questi tipi di attività spontanea, comunque, sono destinati a concludersi nel momento in cui le Regioni recepiranno il Decreto attuativo e implementeranno un piano d’azione per lo screening gratuito”.

Come la pandemia ha influito sulle operazioni di eradicazione del virus HCV?

“In generale la pandemia ha rallentato molto il percorso verso l’eradicazione di HCV. Abbiamo potuto mantenere il contatto con i pazienti grazie alla telemedicina e agli strumenti digitali, ma gli ambulatori sono stati completamente paralizzati. Questo ha contribuito a frenare l’attività di screening ma anche le prescrizioni delle terapie, compromettendo la possibilità di raggiungere gli obiettivi dell’OMS per il 2030. Anche il lavoro istituzionale è stato monopolizzato dall’emergenza coronavirus: quasi nessuno spazio è rimasto per occuparsi di altre malattie infettive e in un certo senso abbiamo perso un’occasione. Se, in via ipotetica, fossimo stati in grado di organizzare lo screening per l’HCV in concomitanza con le vaccinazioni anti-Covid, testando anche solo il 70% dei vaccinati avremmo avuto già un milione di cittadini campani screenati”.

Epatite C e over 50, il take home message

“Se siete a rischio, fate il test per l’epatite C e se risultaste positivi, fatevi curare: si può guarire in tempi rapidi. Chiedete al medico di base di fare il test, oppure rivolgetevi ad uno dei centri di riferimento, diffusi su tutto il territorio nazionale”.

Codice materiale IT-UNB-0198

“Materiale di carattere informativo non riferibile a contenuti di prodotto e non finalizzato alla promozione del farmaco”


1 Kondili LA, Andreoni M, Alberti A., et al. Estimated prevalence of undiagnosed hepatitis C virus infected individuals in Italy: a mathematic model to accurately measure HCV prevalence with a route of transmission granularity. Hepatology. 2019; 70 (S1) AASLD abstract (poster) N.0520 Friday 8 November 2020: p328A.

1 Intervista a Loreta Kondili, Quotidiano Sanità [http://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=85472]